Nell’Italia del secondo dopoguerra, quando le aziende tentavano di rimettersi in piedi tra macerie e crisi, si registrò uno dei primi casi di bancarotta impropria documentati nelle cronache giudiziarie milanesi. L’amministratore delegato di una società edile, sebbene non formalmente fallito, fu ritenuto responsabile per aver causato, con scelte opache e favoritismi, il dissesto finanziario dell’impresa. Fu una sentenza pilota: da lì, il concetto di responsabilità anche “esterna” al fallimento prese forma concreta. Questo per dire che quando parliamo di bancarotta impropria e preferenziale, non ci muoviamo in un ambito astratto. Parliamo di ruoli, decisioni, responsabilità e delle loro conseguenze.
Qual’è la differenza tra bancarotta propria e bancarotta impropria?
La bancarotta propria riguarda direttamente l’imprenditore fallito o gli amministratori della società che, con condotte fraudolente o gravemente imprudenti, hanno contribuito a generare o ad aggravare lo stato di insolvenza. La bancarotta impropria, invece, coinvolge soggetti terzi: amministratori di fatto, sindaci, revisori, direttori generali o liquidatori. In altre parole, anche chi non è formalmente imprenditore può rispondere penalmente se ha esercitato un’influenza determinante nella gestione aziendale e ha provocato (anche indirettamente) il fallimento. Il riferimento normativo principale è l’art. 223 del R.D. 267/1942, che estende la punibilità per bancarotta a chi – pur non essendo imprenditore – ha di fatto avuto un potere decisionale sulle sorti dell’azienda.
Che cos’è la bancarotta preferenziale?
La bancarotta preferenziale è un tipo di bancarotta fraudolenta che si configura quando, durante il periodo di crisi o a ridosso del fallimento, l’imprenditore effettua pagamenti o attribuisce garanzie con l’intento di favorire alcuni creditori a scapito di altri. Un esempio classico: un imprenditore che salda il debito con un fornitore “amico” pochi giorni prima del fallimento, mentre lascia scoperti tutti gli altri. La legge vieta questi favoritismi, perché violano il principio di par condicio creditorum: in caso di fallimento, tutti i creditori devono essere trattati in modo equo. La bancarotta preferenziale è disciplinata dall’art. 216 comma 3 R.D. 267/1942, ed è punita con le stesse pene previste per la bancarotta fraudolenta semplice o impropria.
Qual è la pena per la bancarotta preferenziale?
Anche se spesso viene percepita come meno grave, la bancarotta preferenziale è punita con la reclusione da 1 a 5 anni, come previsto dall’art. 216. Si applicano inoltre le pene accessorie: interdizione dai pubblici uffici, incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione, impossibilità di esercitare attività imprenditoriale o societaria. È importante sottolineare che non serve dimostrare un vantaggio personale, ma basta provare la volontà di favorire un creditore rispetto agli altri.
Bancarotta impropria e preferenziale: conclusione
Chi gestisce un’impresa, oggi più che mai, deve sapere che ogni decisione – anche in momenti di crisi – ha un peso. E che ci sono responsabilità che vanno ben oltre il bilancio. La bancarotta impropria e quella preferenziale sono reati insidiosi, spesso sottovalutati, ma con conseguenze gravi e durature. Se sei coinvolto in una procedura concorsuale o hai dubbi sulle tue responsabilità, è fondamentale agire subito, in modo informato e tutelato.
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Avv. Giorgio Mangiaracina – Avv. Giorgia Franco