Quando un’azienda si trova sull’orlo del fallimento, ogni decisione pesa come un macigno. Pagare prima i fornitori o i dipendenti? Cercare di ristrutturare il debito o liquidare tutto e ripartire? In questo scenario, il rischio di oltrepassare il confine tra crisi aziendale e reato di bancarotta fraudolenta è più concreto di quanto si pensi. Ma cosa significa esattamente bancarotta fraudolenta? E quando una cattiva gestione si trasforma in un illecito penale?
Quando la bancarotta diventa reato?
Di fronte ad una situazione di difficoltà economica, seria e magari protratta nel tempo, non è inusuale che venga aperta una procedura fallimentare. Tale procedura, il cui epilogo è, di norma, la dichiarazione di fallimento dell’azienda, comporta la nomina di un curatore: questi, a cui viene conferito il potere di amministrare l’impresa al posto dell’imprenditore, viene incaricato di ricostruire la vita finanziaria dell’azienda, quantomeno nel quinquennio precedente al fallimento; ovviamente, un contributo attivo alla ricostruzione viene richiesto anche all’imprenditore. Ove questi non sia in grado di giustificare determinate decisioni ovvero taluni movimenti finanziari, che hanno condotto al dissesto dell’azienda, il curatore redigerà una relazione che porterà all’attenzione della Procura della Repubblica: questa relazione costituisce la c.d. notizia di reato su cui la Procura potrà formulare, ove ne ravvisi i presupposti, la contestazione di bancarotta.
Occorre premettere che non esiste una definizione unitaria di bancarotta, poiché la legge fallimentare ne prevede diverse figure, tra cui – principalmente – quella semplice e quella fraudolenta. Sintetizzando il discorso, ai fini che ivi ci occupano, possiamo dire che la bancarotta semplice si differenzia da quella fraudolenta in quanto, mentre nella prima l’imprenditore dichiarato fallito non si comporta in modo da arrecare intenzionalmente danno ai creditori, quantunque dalla sua condotta emerga una gestione scriteriata e imprudente dell’attività imprenditoriale, la seconda, invece, riguarda comportamenti intenzionali volti a sottrarre risorse, occultare beni o falsificare documenti, danneggiando creditori e fisco.
Un caso emblematico è quello di Parmalat, il più grande crac finanziario della storia italiana. Nel 2003, l’azienda di Collecchio dichiarò un buco di 14 miliardi di euro, scoprendo un sistema di bilanci falsificati e fondi inesistenti. L’ex amministratore delegato, Calisto Tanzi, fu condannato per bancarotta fraudolenta, avendo nascosto per anni il dissesto della società. Questo caso dimostra come una crisi aziendale possa trasformarsi in un vero e proprio reato, con conseguenze devastanti non solo per l’imprenditore, ma per tutto il tessuto economico coinvolto.
Come si configura la bancarotta fraudolenta?
Il reato si concretizza quando, prima o dopo il fallimento, l’imprenditore mette in atto azioni volte a sottrarre beni o a falsificare la contabilità per evitare il pagamento dei creditori. Tra le pratiche più comuni ci sono:
- la distrazione di beni aziendali, cioè il trasferimento di proprietà o somme di denaro a soggetti terzi per sfuggire ai creditori;
- l’alterazione dei bilanci per far apparire la società in salute quando invece è in piena crisi;
- l’occultamento di documenti contabili, rendendo impossibile ricostruire la situazione finanziaria dell’azienda.
Nel caso Parmalat, per esempio, vennero creati conti fittizi alle Cayman e obbligazioni inesistenti, con l’unico scopo di mascherare il dissesto. Un’operazione che portò all’accusa di bancarotta documentale, ovvero la falsificazione o distruzione della contabilità aziendale per ostacolare la verifica dello stato patrimoniale.
Cosa significa bancarotta documentale?
La bancarotta documentale è un aspetto spesso sottovalutato, ma cruciale. Un imprenditore non deve necessariamente occultare beni o trasferire denaro all’estero per incorrere in questo reato. Anche la mancata tenuta della contabilità o la distruzione di registri può costituire un illecito, perché rende impossibile la ricostruzione del dissesto finanziario. Nel 2016, un noto imprenditore veneto fu condannato per bancarotta documentale perché, nonostante l’azienda fosse sull’orlo del fallimento, continuò a operare senza una contabilità chiara, impedendo agli organi di controllo di comprendere la reale situazione economica.
Come difendersi da un’accusa di bancarotta fraudolenta?
Se un’azienda è in difficoltà, la trasparenza è il primo passo per evitare guai giudiziari. Un imprenditore che opera in buona fede, dichiarando tempestivamente il dissesto e collaborando con gli organi competenti, riduce significativamente il rischio di essere accusato di bancarotta fraudolenta. Esistono strumenti come il concordato preventivo, che permette di gestire la crisi senza dover ricorrere a operazioni rischiose o illecite. Ignorare il problema o cercare scorciatoie può invece portare a conseguenze molto più gravi: il reato di bancarotta fraudolenta prevede pene fino a 10 anni di reclusione, mentre la bancarotta documentale può costare fino a 5 anni di carcere.
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Avv. Giorgio Mangiaracina – Avv. Giorgia Franco