Condotte extralavorative e licenziamento.

Condotte extralavorative e licenziamento.

Condotte extralavorative e licenziamento. 1280 1044 CC Legal

Che esista una relazione tra il mondo lavorativo e la lotta alla violenza di genere dovrebbe essere fattore di crescente consapevolezza in capo a chi dirige un’attività imprenditoriale: il luogo di lavoro è un microcosmo sociale, ove – se si vuole – è davvero possibile contribuire allo sviluppo e alla diffusione di un cambiamento culturale verso l’eliminazione di ogni forma di violenza, molestia ovvero discriminazione (si vedano, al riguardo, le considerazioni sviluppate nell’articolo edito sulla figura della consigliera di fiducia).

Di questa consapevolezza si fa portavoce anche la Giurisprudenza della Cassazione Civile, sezione lavoro, ove, con la pronuncia n. 31866 del 11.12.2024, ha ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente per gravi condotte extralavorative: più precisamente, il dipendente era stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per reati di violenza sessuale, maltrattamenti familiari e lesioni personali, perpetrati ai danni della consorte.

Richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, la Corte territoriale ha ritenuto che la condotta illecita extralavorativa fosse suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere al di fuori dell’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso.

Lungi dallo stabilire un automatismo tra la condotta penale e l’integrazione della giusta causa di licenziamento, la Corte territoriale ha ritenuto che le condotte di cui si era reso penalmente responsabile il dipendente, sia pur nell’ambito di rapporti interpersonali o familiari, caratterizzate dal mancato rispetto dell’altrui dignità e da forme di violenza e sopraffazione fisica e psichica imponessero un’attenzione particolare anche in capo allo stesso datore di lavoro.

Ciò a maggior ragione in considerazione del fatto che, nel caso di specie, il lavoratore svolgeva mansioni di conducente quotidianamente tenuto a circolare nel traffico, in condizioni quindi stressanti, e ad avere contatti con gli utenti, nei cui confronti – va da sé – deve essere evitato ogni rischio di intemperanza o reazioni scomposte, offensive o violente.

Nel valutare le legittimità del licenziamento e quindi degli elementi sottesi alla decisione assunta dal datore di lavoro, la Corte territoriale ha ribadito come il datore di lavoro abbia una duplice responsabilità verso terzi e verso i propri dipendenti.

Ai sensi dell’art. 2043 c.c. sussiste in capo al datore di lavoro una posizione di garanzia nei confronti dei terzi circa la idoneità del personale che opera a contatto con il pubblico; ai sensi dell’art. 2087 c.c., il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del benessere aziendale (quest’ultimo, inteso in senso ampio).

Alla luce di tutto quanto sopra osservato, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano, che aveva respinto il reclamo del dipendente, confermando quanto statuito in primo grado.

Si tratta certamente di una pronuncia che conforta nel ritenere come, alla luce dell’attuale contesto normativo frutto del recepimento dell’assetto normativo europeo in tema di violenze, molestie e discriminazioni sul luogo di lavoro (da ultimo, si vedano la legge n. 77/2013 di recepimento della Convenzione Istanbul 2011 e la legge n. 4/2021 di ratifica della Convenzione OIL 190/2019), coloro che guidano le aziende debbano ritenersi sempre più ingaggiati nell’attuazione di un cambiamento culturale anche sui luoghi di lavoro, e richiesti di porre in campo reali azioni a sostegno di politiche antiviolenza.

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