SMART WORKING TRA OPPORTUNITA’ E FONTE DI RESPONSABILITA’ PER IL DATORE DI LAVORO

SMART WORKING TRA OPPORTUNITA’ E FONTE DI RESPONSABILITA’ PER IL DATORE DI LAVORO

SMART WORKING TRA OPPORTUNITA’ E FONTE DI RESPONSABILITA’ PER IL DATORE DI LAVORO 1920 1276 CC Legal

Smart-working: tra opportunità e fonte di responsabilità per il datore di lavoro.

In questi mesi di emergenza sanitaria determinata dalla diffusione del Covid-19, molte imprese hanno fatto ricorso al lavoro agile o smart working per garantire la prosecuzione dell’attività e, contestualmente, tutelare la salute dei propri dipendenti: questa scelta è stata avallata, rectius promossa,dallo stesso Governo, che, sin dai primi DPCM e successivamente con il Decreto ‘Cura Italia’, ha indicato il lavoro agile come modalità ordinaria di esecuzione della prestazione lavorativa, laddove in concreto compatibile.

L’istituto ha quindi trovato ampia applicazione, non già nella sua veste originaria come introdotta e disciplinata dalla legge n. 81 del 22 maggio 2017, bensì in una veste adattata al bisogno: è cambiata infatti la finalità dello smart working che, da strumento per incrementare la competitività e, al contempo, conciliare i tempi di vita e di lavoro (art. 18, L.81/2017), è divenuto strumento di contenimento del contagio e prevenzione della sua diffusione attuato mediante l’isolamento domiciliare.

Ne è conseguita un’applicazione dello smart working per modalità, durata e soggetti a vario titolo coinvolti del tutto nuova, che verosimilmente proseguirà anche nella fase di riattivazione del lavoro (c.d. fase2).

In questo scenario, si pone il problema dell’obbligo – pieno ed immutato – in capo al datore di lavoro di garantire la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori.

 

Com’è noto, le fonti normative a cui si radica il succitato obbligo, e alla cui stregua si determina la posizione di garanzia del datore di lavoro, sono:

  1. l’ 2087 cod. civ., la cui ampia formulazione, non di rado, finisce per porre in capo al datore di lavoro un obbligo di adozione di misure di prevenzioni spesse volte ‘atipiche’;
  2. il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro, D.lgs n. 81/2008, che costituisce un complesso di norme organico e specifico in materia antinfortunistica, da cui far discendere in capo al datore di lavoro una posizione di garanzia rispetto alla mancata adozione di misure di prevenzione ‘tipizzate’.

 

A tali fonti, deve oggi aggiungersi:

  1. la normativa emergenziale (costituita dai DPCM susseguitisi in questi mesi), che ha introdotto nuovi obblighi in capo al datore di lavoro per la prevenzione da contagio da rischio biologico, intervenendo su specifiche aree inerenti la sicurezza sul lavoro (es. obbligo d’informazione dei dipendenti; di pulizia dei luoghi di lavoro; di organizzazione degli spazi comuni; di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, etc);
  2. il Protocollo sottoscritto tra il Governo e le Parti Sociali in data 14 marzo 2020, successivamente integrato in data 24 aprile 2020, che ha posto in capo al datore di lavoro ulteriori obblighi e raccomandazioni (ad esempio, obbligo di sanificazione straordinaria, obbligo di istituire un comitato territoriale, o laddove non possibile, un comitato aziendale per la verifica del rispetto del protocollo, etc).

 

Per l’effetto, il datore di lavoro si trova oggi a dover ‘dominare’ tutta una serie di rischi nuovi e diversi con il conseguente dovere di tradurre tali valutazioni in idonee prassi operative preventive.

È infatti del tutto evidente che i documenti di valutazione del rischio (DVR) costruiti intorno all’individuazione delle aree di rischio pertinenti il solo ambiente stricto sensu aziendale non potranno più ritenersi sufficienti, dovendo oggi il datore di lavoro considerare anche tutti quei rischi – generici e specifici – che originano dall’ambiente extra-aziendale (quali sono, ad esempio, i rischi da contagio per emergenza sanitaria nazionale, ovvero i rischi a cui è esposto il lavoratore collocato in smart working).

Operativamente, ciò si traduce in un necessario aggiornamento del documento di valutazione dei rischi.

 

A tal fine, con specifico riferimento allo smart working, costituisce certamente un’utile base l’informativa scritta che il datore di lavoro consegna al lavoratore o al Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls), nella quale sono individuati i rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del lavoro in ambienti diversi da quello aziendale (art. 22, L. 81/2017): com’è noto, di norma, detta informativa viene consegnata prima dell’avvio della prestazione di lavoro agile e aggiornata con cadenza almeno annuale, o ad ogni variazione significativa delle condizioni lavorative e di rischio.

Sennonché, tale informativa non potrà ritenersi di per sé sola sufficiente ed esaustiva, e dovrà necessariamente essere adattata all’odierno contesto: è verosimile ritenere, ad esempio, che non sia mai stata operatauna valutazione dei rischi (fisici e psicologici) connessi ad un utilizzo così prolungato e massivo dello smart working.

 

In aiuto del datore di lavoro e del difficile compito di individuazione delle nuove ed ulteriori aree di rischio,connesse all’impiego generalizzato dello smart working, viene in soccorso l’informativa dell’INAIL datata 25 febbraio 2020 (Informativa INAIL 25 febbraio 2020 reperibile al seguente link: https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/avvisi-e-scadenze/avviso-coronavirus-informativa.html).

Il documento, che offre una panoramica delle diverse opzioni del lavoro agile e delle regole da osservare, si articola in cinque capitoli:

  1. Indicazioni relative allo svolgimento di attività lavorativa in ambienti outdoor;
  2. Indicazioni relative ad ambienti indoor privati;
  3. Utilizzo sicuro di attrezzature/dispositivi di lavoro;
  4. Indicazioni relative a requisiti e corretto utilizzo di impianti elettrici;
  5. Informativa relativa al rischio incendi per il lavoro agile.

Una tabella conclusiva riassume, poi, in base allo scenario lavorativo, quali attrezzature utilizzare e su quali capitoli dell’informativasi dovrà fare un focus specifico.

 

Il successivo 23 aprile 2020, l’INAIL ha poi diffuso un documento tecnico (Documento tecnico INAIL 23 aprile 2020 reperibile al seguente link: https://www.giurisprudenzapenale.com/2020/04/24/salute-e-sicurezza-sul-luogo-di-lavoro-nella-cd-fase-2-i-protocolli-del-governo-e-dellinail/documento-tecnico-inail-23-aprile-2020) in cui ha rimarcatola necessità di un rafforzamento da parte del datore di lavoro delle misure di supporto per la prevenzione dei rischi connessi allo smart working, segnatamente su due fronti

  1. quello informatico, fornendo assistenza nell’uso di apparecchiature e software nonché degli strumenti di videoconferenza.

Ciò al fine di scongiurare, a titolo esemplificativo, il prodursi di lesioni personali ai danni del lavoratore determinate da strumentazione tecnologica pericolosa o inadeguata.

  1. quello della tutela della salute dello smart worker, prevenendo, ad esempio, situazioni di stress.

Al riguardo, nel documento tecnico si precisa come il datore di lavoro dovrà incoraggiare i lavoratori a fare pause regolari, garantire un supporto ai lavoratori che si sentono in isolamento e a quelli che contestualmente hanno necessità di accudire i figli.

 

Trattasi ovviamente di indicazioni che il datore di lavoro dovrà calare nella propria operatività aziendale interrogandosi, di volta in volta, sulla loro esaustività ovvero sull’opportunità di integrarle al bisogno. Un compito che si profila tutt’altro che semplice, specie laddove, ad esempio, l’impresa non abbia mai sperimentato lo smart working prima dell’emergenza sanitaria, e conseguentemente non abbia attrezzato il personale di pc, tablet, etc, autorizzando l’utilizzo di quelli personali.

 

In sintesi, è lecito ritenere che in capo al datore di lavoro si stia delineando un nuova posizione di garanzia, rafforzata dalla normativa emergenziale, che impone una nuova, diversae più ampia valutazione dei rischi, con un’attenzione e sensibilità non solo a quelli che scaturiscono dall’ambiente stricto sensu aziendale ma anche da quello extra-aziendale (come nel caso dell’utilizzo generalizzato dello smart working), che si traduca in procedure ‘fatte su misura’ sulla specifica organizzazione aziendale, con regole chiare e tali da poter essere realmente comprese ed attuate dai lavoratori.

 

Giorgia Franco

avvocato